Padre Pio, come Gesù, nell’ora della passione si è sempre affidato al Padre. Ha fatto sempre ha la volontà del Padre. Nella notte oscura, con modalità diverse, il frate di Pietrelcina, ha ripetuto con accenti forti ma disperati, il grido di Gesù: “Dio mio perché mi hai abbandonato“ (Mt 27,46).
“Ma il Padre rimane nel cielo della sua anima” (epistolare I,911). Ai figli spirituali ricorda costantemente che Dio “veglia sempre paternamente su di noi”; è fedele; “la Sua mano chiama, abbraccia, accarezza” (Epistolario IV, 101, 108,197). E nella lettera inviata al suo direttore spirituale l’8 dicembre 1916, dall’abisso del dolore scrive parole che sono tutte una mirabile preghiera al Padre: “Mio Dio, cosa è stata una mia vita in questi giorni dinanzi a te, in cui le più fitte tenebre mi hanno investito tutto! E quale ancora sarà il mio avvenire? Io ignoro tutto, completamente tutto. Intanto non cesserò d’innalzare le mie mani dalla parte del luogo santo durante la notte, e te benedirò sempre finché mi rimarrà un soffio di vita. Te supplico, o mio buon Dio, perché sia la mia vita, la mia barca ed il mio porto. Tu mi hai fatto salire sulla croce del Figlio tuo ed io mi sforzo di adattarmici alla migliore maniera: sono convinto che giammai ne discenderò e che giammai dovrò vedere rasserenata l’aria. Sono persuaso che bisogna parlare a te fra tuoni e turbini, conviene vederti nel rovereto, tra fuoco delle spine; ma per eseguire tutto questo, veggo essere necessario scalzarsi e rinunciare interamente alla propria volontà, ed alla propria affezione.
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A tutto sono disposto, ma ti farai vedere un giorno sul Tabor, sul tramonto santo? Avrò la forza senza mai stancarmi di ascendere alla celeste visione del mio Salvatore? Sento che il terreno che calco cede sotto i miei piedi. Chi rafforzerà i miei passi? Chi se non tu, che sei il bastone della mia debolezza? Miserere di me, a Dio, miserere di me! Non mi fare più esperimentare la mia debolezza! La tua fede illumini ancora una volta il mio intelletto, la tua carità mi riscaldi questo cuore infranto dal dolore di offenderli nell’ora della prova. Mio Dio, quanto è trafiggente questo atroce pensiero, che da me non si diparte mai! Dio mio Dio mio, non mi fare spasimare più per te. Io non mi reggo più...! “(epistolario I, 837).
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