Sacerdote e vittima
Il 10 agosto, a Pietrelcina, c’è un sole accecante che dipinge di azzurro intenso la volta celeste e dà luminosità alle brune vallate, facendo brillare l’oro delle stoppie nel quale sono incastonate, come smeraldi, le chiome di alberi sempre verdi. Come l’olmo di Piana Romana. Il “suo” olmo.
Fra Pio scorge questo spettacolo di luci e colori quando esce di casa con la mamma per andare verso il calesse che li aspetta a pochi metri. Poi è costretto ad abbassare lo sguardo. Non solo in osservanza alle abitudini apprese in convento. Ma perché tutta quella luce dà fastidio agli occhi arrossati dalle lacrime e da una notte trascorsa completamente in bianco.
Chiude le palpebre mentre il cavallo si incammina lungo un sentiero che conosce a memoria. L’arciprete guida la piccola comitiva nella preghiera.
Il viaggio non è lungo. Appena 30 chilometri. Il calesse si ferma dinanzi alla facciata del Duomo di Benevento, solenne nella sua austera semplicità. All’interno, a sinistra del presbiterio, in corrispondenza del campanile, c’è una cappella. La cappella dei canonici. È già stata preparata come si fa per occasioni speciali.
Sul capo il giovane cappuccino avverte il calore delle mani di mons. Paolo Schinosi, arcivescovo titolare di Marcianopoli, ausiliare di Benevento, che sostituisce l’arcivescovo diocesano, mons. Benedetto Bonazzi, spesso fuori sede a causa dei suoi impegni di docente universitario. Mani d’uomo. Ma a fra Pio sembrano quelle del Padre celeste e gli pare di udire nuovamente dentro di sé la frase del Figlio, pronunciata in una delle visioni prima del noviziato: «Vieni con me, perché ti conviene combattere da valoroso guerriero». E poi la sua promessa: «Io ti starò sempre d’appresso; io ti aiuterò sempre». Una promessa che genera nel cuore titubante di fra Pio una sensazione prima di sollievo e poi di grande pace, mentre il calore di quelle mani pervade tutto il suo corpo. Diventa quasi un fuoco che lo avvolge come un abbraccio materno. L’abbraccio della Chiesa.
Terminata la solenne Celebrazione padre Pio riceve altri calorosi abbracci. Questa volta umani. Quello di mamma Peppa, sul cui vestito nuovo, che si è cucita per l’occasione, si vedono i segni di un pianto silenzioso. Quello di «zi’ Tore». Poi, a Pietrelcina, quelli delle sorelle e degli altri parenti, che attendono all’ingresso del paese con la banda per accompagnarlo fino a casa sua.
Mancano solo il fratello Michele e papà Grazio, ripartito pochi mesi prima per raggiungere il figlio maggiore a New York. Il novello sacerdote, però, lo sente vicino. La delicata mano benedicente dell’arcivescovo, per un istante, gli è parsa uguale a quella dura, ruvida e screpolata dell’infaticabile genitore. E non dimentica che il dono appena ricevuto, quel dono divino che gli riempie il cuore di gioia, è frutto anche del sacrificio del padre emigrante.
Quattro giorni dopo, domenica 14 agosto, nella chiesa parrocchiale della sua Pietrelcina, celebra la prima Messa.
Ai presenti viene distribuita un’immaginetta-ricordo, su cui ha voluto imprimere, nero su bianco, sintetizzato in poche parole, un ambizioso, impegnativo, arduo, proposito:
«…Con Te io sia pel mondo Via Verità Vita E per Te Sacerdote santo Vittima perfetta».
È una gran festa per tutto il paese. C’è chi si è dovuto sedere un’ora prima per essere certo di trovare posto. E chi arriva al canto d’ingresso non ne trova neppure in piedi. Non tutti, però, restano fino alla benedizione finale. Perché quella Messa dura quasi due ore. E non per l’omelia, tenuta da padre Agostino da San Marco in Lamis, giunto appositamente per l’amicizia che lo lega a padre Pio e con il mandato di rappresentare il Ministro Provinciale. È al momento in cui si chiede al Signore di ricordarsi dei defunti e dei vivi che il tempo sembra fermarsi. Il novello sacerdote, splendido nei paramenti bianco e oro, finiti di ricamare nella stessa mattinata, a quel punto della Celebrazione si ferma. Non dice più nulla. Sembra assorto in preghiera. Riprende dopo quasi un’ora come se fossero passati solo pochi istanti.
I pietrelcinesi rimasti fino alla fine pensano che sia stata un’eccezione. Che per la prima Messa avesse tanti benefattori da raccomandare al buon Dio. Invece, anche alla seconda e poi alla terza, la scena si ripete tale e quale. Tutte le sue Messe sono straordinariamente lunghe. E quando si sparge la voce in paese, non ci va più nessuno. Non possono rimanere ore e ore in chiesa con lui perché devono andare tutti a lavorare, chi in campagna, chi in casa.
Soprattutto ora che è prete, il giovane cappuccino non rimane mai in ozio. Quando non è in preghiera o a studiare nella sua “torretta” trova comunque il modo per esercitare il suo ministero e per compiere qualche opera di carità.
La prima l’ha riservata già da tempo, nel suo cuore, a uno sventurato che era stato il suo primo insegnante, don Domenico Tizzani. Per tutti, a Pietrelcina, è “lo spretato”. Per la mentalità del periodo, essersi tolta la talare di dosso è uno scandalo. Un ex prete gode della stessa stima di uno appena uscito di galera. Nessuno, neppure i suoi ex confratelli nel sacerdozio, osano entrare nella sua casa. Neanche ora che è in fin di vita. Chiunque ci passa davanti gira al largo, senza alzare lo sguardo, perché quella dimora è considerata come l’anticamera dell’inferno e il suo inquilino uno scomunicato. Padre Pio bussa a quel portone “maledetto”. Lo oltrepassa e trova un povero vecchio bisognoso d’affetto e assetato della misericordia di Dio. Il cappuccino, che si è portato la stola, raccoglie peccati, pentimento, lacrime e sospiri e dona, in cambio, la pace dell’anima e un passaporto per il paradiso. Mentre si allontana da quella casa, ormai nuovamente benedetta da Dio, il giovane sacerdote sorride al ricordo delle sofferenze che quell’uomo gli aveva dato quando era bambino e soprattutto quelle date a sua madre alla quale, quando andò a chiedergli notizie del rendimento scolastico del figlio, rispose causticamente: «È un ciuccio. Mandatelo a guardare le pecore». Al di là dei modi, evidentemente il problema era didattico, visto che con un altro maestro il suo apprendimento cominciò a progredire di giorno in giorno.
Saludos, mi nombre es Miguel Campos Maciel. Necesito porfavor sus oraciones para Patricia Garcia Retamoza y mi madre Maria del Carmen Maciel.
Por las necesidades espirituales y corporales de Patricia Garcia Retamoza. Es importante su intersección, estimados padres capuchinos, su madre sufre por su hija. Gracias por sus oraciones a esta hija y madre, que también son hijas del altísimo. Amén.