Padre Pio da sacerdote, viveva il Natale nell’attesa.
Lo desiderava, lo attendeva per tutti i 365 giorni dell’anno. Padre Ignazio da Ielsi, che fu superiore del convento di San Giovanni Rotondo dal 1922 al 1925, nel suo Diario scrisse questa preziosa testimonianza: «È inutile dire con quanta passione Padre Pio celebra il Natale. Sempre vi pensa e conta i giorni che lo separano da un Natale all’altro sin dal giorno dopo. Gesù Bambino per lui è un’attrazione specialissima. Basta sentire il suono di una pastorale, della “Ninna nanna” per sollevare lo spirito su, su, tanto che a guardarlo sembra estasi».
Nei giorni che precedevano la Natività, era fuori di sé per la gioia. A Raffaelina Cerase, scriveva: «Al cominciare della sacra novena in onore del santo Bambino Gesù, il mio spirito si è sentito come rinascere a novella vita: il cuore si sente come abbastanza piccino per contenere i beni celesti; l’anima si sente tutta disfarsi alla presenza di questo nostro Dio per noi fatto carne. Come fare a resistere a non amarlo sempre con novello ardore?» (Epist.II, 273).
Il Santo di Pietrelcina voleva che nella notte della Natività fossero presenti, nella chiesetta antica del convento, le sue figlie e i suoi figli spirituali. Fu contento, un anno, di vedere, vicinissime all’altare, Adelia Maria Pyle, la contessa convertita Luisa Vairo, le sorelle Lagorio, Antonietta Vona, Elena Bandini, Assunta Di Tomaso, le sorelle Serritelli, le sorelle Ventrella, le sorelle Campanile e Lina Fiorellini.
Non vedeva l’ora di cantare l’ultima lezione dell’ufficio divino e di intonare il Te Deum di ringraziamento. I suoi occhi si imperlavano di lagrime quando, nel proclamare il Prologo del quarto Vangelo, pronunziava le parole: «E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Al termine della funzione, indossava il piviale bianco intessuto d’oro, incensava la statua di Gesù Bambino e, preceduto dai chierichetti e da alcuni confratelli che reggevano tra le mani le candeline accese, la portava in processione, dal coro all’altare e dall’altare al presepe, stringendo a sé la piccola culla che Lina Fiorellini decorava sempre con nuove trine e merletti. Poi, porgeva l’amata statuetta al bacio dei fedeli. Il suo volto era raggiante, luminoso.
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Le sue labbra disegnavano sorrisi di gaudio mentre tutti poggiavano le labbra sulle ginocchia o sui piedini di Gesù Bambino. Quindi, «a cuore aperto e a voce spiegata», si univa al coro dei confratelli e dei fedeli per cantare “Tu scendi dalle stelle”, la dolce canzoncina composta da Sant’Alfonso M. de’ Liguori. In sacrestia riceveva, formulava e ricambiava con gioia gli auguri dei devoti figli del suo spirito. Neppure lui riusciva a descrivere ciò che provava nella notte santa. Al padre Agostino da San Marco in Lamis scrisse: «Il celeste Bambino faccia sentire anche al vostro cuore tutte quelle sante emozioni che fece sentire a me nella beata notte allorché venne deposto nella povera capannuccia! Oh Dio, padre mio, non saprei esprimervi tutto quello che sentii nel cuore in quella felicissima notte. Mi sentivo il cuore traboccante di un santo amore verso il nostro Dio umanato. […] Io non saprei ridirvi tutto ciò che avvenne in me in questa notte, passata tutta in piedi, senza aver chiuso un occhio…» (Epist. I, 981 s.).
Esortava le sue figlie spirituali ad allestire il presepe nelle loro case. A Maria Gargani rivolse un’accorata esortazione: «Sta’ molto vicino alla culla di questo grazioso Bambino, rispettosa nella dimestichezza che tu prenderai con lui mediante l’orazione e tutta deliziosa nella gioia di sentire in te le sante ispirazioni ed affetti di essere singolarissimamente sua» (Epist. III, 347 s.).
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