La Pasqua del 1961 fu una festa molto triste per Padre Pio. Se ne occuparono tutti i maggiori quotidiani italiani. Il Piccolo di Trieste si poneva un interrogativo “Padre Pio: trasferimento in Spagna?”. La Gazzetta del Mezzogiorno titolava: “Padre Pio non celebra i riti della Settimana Santa, interrompendo una consuetudine quarantennale“. Il Corriere della Sera metteva in risalto il “Veto vaticano a Padre Pio per le cerimonie pasquali”. L’Avanti, invece, la “Lotta attorno a Padre Pio tra Vaticano e Cappuccini“. In quella domenica Padre Pio comparve in chiesa soltanto per ricevere la Comunione.
Cosa era successo? Si trattava di disposizioni frutto dell’inchiesta che era stata avviata nel 1960 dal visitatore apostolico mons. Maccari. In quei mesi le feste liturgiche più importanti come il Natale del 1960, l’Epifania, la Pasqua e la Pentecoste del 1961 videro interrotta la tradizione che perdurava da oltre quaranta anni, la quale riservava a Padre Pio la celebrazione dei riti in quelle particolari solennità religiose.
A queste disposizioni se ne aggiunsero altre il 24 aprile 1961. Quel giorno, Monsignor Pietro Parente, cardinale ed assessore al Santo Uffizio, scrisse al padre Generale dei cappuccini Padre Clemente da Milwaukee per le gravi preoccupazioni che “derivavano dal complesso movimento devozionale ed economico attorno alla persona e all’opera del P. Pio da Pietrelcina”. La Suprema Sacra Congregazione dispose dei provvedimenti per eliminare “disordini, pericoli e possibilità di turbamento per molte anime fedeli che troppe volte si sono dovute lamentare”.
Il cardinale comunicò che Padre Pio doveva celebrare la “S. Messa nei limiti di tempo che sogliono impiegarvi i Sacerdoti devoti, vale a dire in mezz’ora o al massimo 40 minuti“, e doveva attenersi “alla norma di non celebrare invariabilmente ogni giorno allo stesso orario, in modo da evitare che la fissità dell’orario valga a favorire l’eccessivo affollamento e le manifestazioni non rette di devozione personale“. Inoltre aggiunse che Padre Pio doveva essere invitato ad “ottemperare a questa regola in virtù della obbedienza religiosa, e nel caso di una deprecabile inadempienza”, non dovevano escludersi “l’uso delle pene canoniche“.
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