Genoveffa De Troia è nata Lucera il 21 dicembre 1887, in una casa poverissima: un pianterreno, con la mangiatoia per il cavallo; al di là di un intramezzo di legno, c’era un vano per tutti quelli della casa: genitori e cinque figli. Durante la sua vita Genoveffa cambiò ben 14 abitazioni mai sue, mai comode, nelle quali si portava dietro quello che le era più necessario: il lettino.
L’ultima quella di Via Briglia 3, in Foggia fu l’asilo tranquillo e quasi definitivo per Genoveffa. La sua celletta si trasformò in un’aula scolastica di cristiana perfezione, nella quale l’insegnante, dopo esserti costantemente esercitata nella pratica delle virtù cristiane, con la sua parola semplice mirava a rendere migliore quanti l’avvicinavano.
Per 44 anni, questa serva fedele e buona non ha mai conosciuto riposo. Sentir parlare del suo scarsissimo cibo, era miracolo se riuscisse a vivere. Sentir parlare anche del suo pochissimo sonno, interrotto dalla preghiera quasi continua, sembra un miracolo se sia vissuta 62 anni. Genoveffa era piccolina: faceva pensare ad un mughetto di bosco, che un raggio di sole troppo forte avrebbe potuto inclinare. però in quell’essere fragile, abitava un’anima capace di piegare la quercia. a una piccola donna, seduta su un giaciglio, il volto incorniciato da bende, gli occhi leggermente abbassati quasi a velare serenità e sicurezza incantevoli, le labbra dolcemente sigillate, come per custodire il suo grande e misterioso segreto: è questa l’immagine che vive per sempre nel cuore di chi l’ha conosciuta e amata.
Padre Pio e Genoveffa non si sono mai incontrati. I Santi però si incontrano in Dio. A Padre Pio parlavano spesso di Genoveffa e si poteva cogliere in lui delle espressioni che in un certo senso le corrispondono. E’ una corrispondenza di amore, soprattutto di sofferenza, di grande sofferenza. Quando a Padre Pio parlavano di Genoveffa, che lui non conosceva, e gli raccontavano quello che soffriva, diceva subito: “E’ una martire della sofferenza!”. Espressione precisa, perfetta, teologica. Martire vuol dire “testimone” e Genoveffa era una testimone della sofferenza. E quando gli dicevano: “Quella poveretta di Genoveffa”, padre Pio ribatteva subito: “Perché dite poveretta Genoveffa? Ditele invece Beata, perché Gesù le vuole molto bene. E’ un anima prediletta di Gesù, è un’anima semplice, favorita dal Signore”.
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E’ questo il giudizio che Padre Pio aveva di Genoveffa. Evidentemente lui aveva un altro informatore: Dio! Poi aggiungeva: “Genoveffa si stende sempre più sulla croce”. Espressione che Padre Pio adoperava anche per sé stesso: “La croce mi aspetta. Io mi sto distendendo su di essa”,come ci si distende su di un letto. La croce e riposo di Genoveffa di Padre Pio. E Genoveffa cosa diceva e cosa pensava di questo di questo? “Sto bene,perché soffro, starei male se non soffrissi!” E’ una pazzia dell’amore. E’ la pazzia della madre che è capace di soffrire e di affrontare la morte per suo figlio. E’ la pazzia di Dio che ama e rende pazzi anche i suoi Santi perché lo amino allo stesso modo.
Quando a Genoveffa parlavano di Padre Pio ella diceva: “Ho il suo quadro e lo vedo stimmatizzato” e aggiungeva: “Padre Pio prega, soffre e confessa”. Definizione precisa e sintetica di Padre Pio. Poi aggiungeva: “Io non confesso perché sono donna e devo pregare intensamente”. Padre Pio sentendo parlare di Genoveffa e nutrendo il vivo desiderio di offrirsi vittima e di soffrire e morire per gli altri diceva di Genoveffa: “Dille che si offro vittima per me” Genoveffa vittima secondo le intenzioni di Padre Pio. Ecco L’incontro dei Santi che senza conoscersi e senza vedersi fanno famiglia insieme!. Ad un figlio spirituale che gli parlò di Genoveffa, Padre Pio disse: “Non è che una cima dello Spirito pronta a spiccare il volo per il paradiso dove pregherà per me e per te” . Nel suo silenzio Genoveffa ancora oggi sintetizza la sua vita cristiana in grado eroico “È mio dovere pregare. E’mio dovere soffrire. E’ mi dovevo offrire!”.
Genoveffa aveva accettato la sofferenza con onore,come il regalo più bello che Dio potesse farle, perché – in effetti – la sofferenza è il dono segreto che Egli rende partecipi soltanto i suoi amici scelti. La fine del suo doloroso calvario fu come un’improvvisa schiarita di luce, che immediatamente avvolse di bellezza il volto dell’umile sofferente di via Briglia. Genoveffa ha amato la vita, ha accettato la morte, ha creduto ed ha testimoniando la sua fede. Ha insegnato come un cristiano possa e debba vivere anche condizione molto precarie come le sue, ed ha insegnato anche come un cristiano possa e debba andare incontro alla morte: con un’agonia che recupera il suo nobile senso escatologico di lotta. Genoveffa nel nascondimento e nel silenzio, si è realizzata nella totalità della sua sua vita. La sua celletta era una vera clinica delle anime, perché di lì nessuno usciva come era entrato. Per rifarsi della sua vocazione religiosa, volle essere Terziaria Francescana, Socia orante del Gruppo Donne di Azione Cattolica e Consorella della Pia Unione di Maria Santissima Addolorata.
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