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Padre Pio sotto inchiesta

Era il 22 febbraio 1961. La missione segretissima di padre Paolo Philippe

Il 22 febbraio 1961, il domenicano padre Paolo Philippe, consultore del Sant’Uffizio, giunse a San Giovanni Rotondo con l’incarico di interrogare Padre Pio per contestargli le “accuse che gravano su di lui presso il Sant’Officio” e “di fargli capire che la sua situazione era tale da mettere in pericolo la sua anima“. Si trattava di una “missione segretissima“.

Il futuro cardinale contestò le accuse contenute nella relazione Maccari, comprese quelle di immoralità. “È falso, falsissimo” fu la risposta ricorrente. E, sulla questione più spinosa, Padre Pio precisò: “Mai ho baciato una donna, padre.anzi, le dico davanti al Signore – egli alzò la mano – neppure volevo dare baci alla mamma: la facevo piangere perché non le scambiavo i suoi baci, ma avrei creduto far male”. Non bastò all’accusato e non servì neanche spiegare la ragione “del suo modo di sbattere lo sportello del confessionale o di rifiutarsi di sentire certi penitenti, con aspri rimbrotti: io faccio così in coscienza quando vedo delle anime che non vengono per confessarsi ma per parlarmi di tante altre cose”. Non fu utile neppure la rassicurazione di padre Rosario da Aliminusa fornita all’inviato della Santa Sede che contestava la negligenza di Padre Pio nel non impedire il “culto” della sua persona: “P. Pio è semplice, non è furbo, non gli piace essere così considerato come un santo, è piuttosto indifferente a questo “culto”. È vero che si lascia baciare la mano, ma la gente usa farlo con tutti i sacerdoti. Poi egli stesso bacia volentieri la mano dei sacerdoti”.

Padre Philippe tornò a Roma “con l’intima convinzione” di non essere riuscito a convincere il Frate sotto inchiesta “dello sbaglio della sua condotta e della necessità di cambiare”.

La conclusione fu un giudizio di condanna: “P. Pio mi è apparso come un uomo di intelligenza limitata, ma molto astuto e ostinato, un contadino furbo che cammina perla sua strada senza urtare i Superiori di fronte, ma che non ha alcuna voglia di cambiare, egli non è e non può essere un santo” e “neppure un degno sacerdote.”

Senza interrogare testimoni, senza neppure incontrarli, solo sulla base della documentazione esistente al Sant’Uffizio, il domenicano giunse a sentenziare: «P. Pio non è solo un falso mistico, che è consapevole che le sue stigmate non sono da Dio, e ciò nonostante lascia costruire
tutta la sua “fama sanctitatis” su di esse, ma, peggio ancora, egli è un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime”, per cui, da “ex professore di storia della mistica”, definiva “il caso di P. Pio la più colossale truffa che si possa trovare nella storia della chiesa” neppure mons. Maccari aveva osato tanto nei suoi giudizi.

Drastica la cura suggerita:

1) Sospensione dalle confessioni dei fedeli 

2) Sospensione dalla S. Messa, finché lasci S. Giovanni Rotondo

3) Trasferimento al più presto possibile in un convento lontano

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