Il 6 aprile 1931, il Guardiano della comunità di San Giovanni Rotondo, padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, a nome di tutta la religiosa famiglia, protestava altamente e denunciava alle autorità competenti, per via legale, “l’ostile dimostrazione da parte di malintenzionati, avvenuta in quei giorni (31 marzo) contro il convento dei padri Cappuccini di San Giovanni Rotondo, con lancio di sassi alle finestre, forzatura di porta d’ingresso e violazione di domicilio. Sicuro che le autorità vogliano prendere seri provvedimenti e che simili atti vandalici non si ripetano più e garantire l’incolumità personale della suddetta famiglia religiosa e quella di eventuali ospiti, con stima”
Cosa era accaduto il 31 marzo?
Nei giorni precedenti si era diffusa la notizia di un possibile trasferimento di Padre Pio. Fu il Podestà Antonio Bramante, che parlò ai frati di questa disposizione e in un colloquio col padre guardiano esternò il suo pensiero: “padre guardiano, voi non potete parlare, perché avete il segreto; ma io non ho segreti: debbo parlare ed è mio dovere difendere il nostro padre Pio”. il 31 marzo si diffuse la notizia falsa e pericolosa: “è arrivato il nuovo superiore che deve portar via Padre Pio, camuffato da frate minore!”. Si trattava di padre Francesco Tignola che voleva dei consigli spirituali dal frate cappuccino. Una folla “inferocita e urlante” salì al convento e chiese il “nuovo superiore per spedirlo da dove era venuto”.
Il guardiano, (nella foto) era in coro, si precipitò giù, risoluto e con voce imperiosa comandò a tutti di uscire dal convento. Usciti dal chiostro, il padre Raffaele promise che sarebbe andato a chiamare padre Pio e così si calmarono. Il cappuccino stigmatizzato si affacciò alla finestra della prima stanza vicino al coro e assicurò che il padre venuto era un povero forestiero che, di ritorno dalla predicazione, era salito a far visita ai confratelli. La gente diffidava. Quando venne il podestà con i carabinieri, la folla si calmò ed andarono quasi tutti via. Infatti alcuni restarono per organizzare un servizio di vigilanza attorno al convento.
La lettera del guardiano, il giorno dopo, giunse la provinciale, fr. Bernardo d’Alpicella, che scrisse al Generale padre Melchiorre da Benisa raccontando l’accaduto e suggerendo assicurazione – da parte di lui – “che lassù non si recherà nessun religioso forestiero per restarvi, per calmare e tranquillizzare la popolazione ed evitare fatti di sangue”.
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